Ci sono notizie che non vorresti leggere. Oggi per esempio due in particolare: la prima riguarda ancora una volta i suicidi causati dalla crisi, la seconda i pre-ti lombardi che vanno a scuola di crisi.
La prima. Un triplice suicidio per mancanza di lavoro e la conseguente impossibilità ad affrontare la quoti-diana fatica di ogni giorno nel provvedere ai bisogni della famiglia, la vergogna a chiedere aiuto, la cecità di chi ti sta intorno, ma soprattutto l’incapacità di chi dovrebbe prevedere e provvedere al bene comune. Ormai sono più di cinque anni che ci troviamo in questa situazione, che l’economia anziché sostenere le famiglie le impoverisce, invece di tutelare i più de-boli arricchisce approfittatori e opportunisti. Anni in cui la politica, con i suoi complici e picciotti, rivela il vero volto dell’egoismo e dell’arrivismo, della bieca volontà di dominare le persone prevaricandone la fi-ducia.
È difficile ormai trovare anche le parole per offendere i “disonorevoli” che siedono in Parlamento, la casa degli italiani, inetti e insetti divoratori di privilegi e facilitatori di corruzione. E ancora c’è qualcuno che li difende e trova scuse insostenibili giustificate da un sospetto spirito di appartenenza. Lupi che difendono altri lupi, incompetenti che per grazia ricevuta si at-teggiano a esperti conoscitori del sistema politico so-ciale. I dati ci dicono che dal 2008 ad oggi i suicidi causati dalla crisi economica e lavorativa sono oltre 700, e le categorie più colpite sono, in ordine di de-cessi, i disoccupati, i lavoratori autonomi, i liberi pro-fessionisti e lavoratori dipendenti. Certo non è la classifica che conta, in questo caso arrivare primi non è certo un vanto e
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Allarmanti e preoccupanti, per la scarsa considerazio-ne della realtà, le dichiarazioni dei vari perdi tempo.
Bersani: “un dramma che lascia sgomenti, fuori dai riflettori c’è una vera emergenza sociale. È su questa emergenza che deve vedersi il primo segno di cam-biamento”. Emergenza? Sgomenti? Dopo cinque anni e 700 morti? Ma questo è proprio deficiente. E poi di quali riflettori parla, di quelli che stanno accesi solo per lui e i suoi complici.
E la nuova super donna presidente della camera Lau-ra Boldrini addolorata perché i coniugi suicidi non si sono rivolti ai servizi sociali come era stato loro indi-cato. Viene il dubbio che anche lei abbia finora usu-fruito di incarichi e benefici indipendenti dalle sue capacità. Si dice sconvolto anche Nichi Vendola che finalmente si accorge che “c’è una Italia del disagio e dolore che non aspetta, milioni di persone vivono oggi nell’angoscia e nella paura. Ma intanto continua-no a non fare ciò che dovrebbero e cioè ridare dignità e concretezza a un Paese disperato. Fa sorridere an-che l’ingenuo appello del vescovo di Ancona mons. Edoardo Menichelli: “bisogna offrire nuovi percorsi di speranza, attraverso due parole chiave: la sobrietà e la solidarietà”.
Qualcuno ricordi a monsignore che proprio la sobrie-tà è stata la parola d’ordine con cui Mario Monti ha costruito il suo “errore” di governo, il disastro dal quale ancora non siamo capaci di uscire.
Attenzione però, perché la resa dei conti si sta avvici-nando pericolosamente. La gente aspetta solo che qualcuno trovi la forza di dare il via alle operazioni e il timore è che non si tratti di semplici calcoli mate-matici.
Occorre allora prevenire atti di violenza e di sopraf-fazione, occorre cercare da subito i rimedi per riav-viare il lavoro e risollevare l’economia. Basta tasse, basta aumenti, basta Equitalia, INPS, IVA e quant’altro. Basta aumenti ingiustificati di bollette e accise varie. I comuni e le province trovino la forza di bloccare sfratti e ingiunzioni, tutti con le maniche rimboccate proprio come accade in occasione dei terremoti e delle alluvioni. E soprattutto impedire che finanzieri rampanti e ragionieri mafiosi consumi-no i loro crimini.
La seconda notizia riguarda i preti della diocesi di Milano invitati a lezione per capire la crisi. Se non ci trovassimo in un momento così tragico verrebbe da sorridere. Prima di tutto perché le lezioni saranno tenute da tre professori della Bocconi e cioè l’univer-sità da cui sono usciti buona parte di coloro che di questa crisi sono responsabili e che proprio dai mo-menti di crisi ricevono maggiori benefici. Poi perché l’iniziativa arriva con “soli” cinque, se non di più, anni di ritardo. Anni in cui i nostri preti hanno avuto tutto il tempo di vivere, anche se non direttamente ma sulla pelle dei loro parrocchiani, la tragedia di chi ha perso il lavoro, di chi è stato sfrattato, di chi si è suicidato, di chi ha perso lavoro e famiglia, di chi si trova in coda davanti alla Caritas o al Pane quotidia-no, di chi affolla le mense francescane, di chi chiede la carità per la strada, di chi entra in chiesa e prega piangendo per la disperazione. Ora, non credo che sia indispensabile sapere cosa significa “esodato” o, come dice il vicario generale, quali siano i criteri e i parametri seri, critici e rigorosi per leggere la realtà. Queste informazioni noi le abbiamo già molto chiare scritte nel Vangelo. Forse occorre riprendere la sana abitudine della lectio divina e completarne tutti i pas-saggi lettura, meditazione, orazione, contemplazione e aggiungendone uno: azione. Agire tra la gente sen-za aspettare che venga a cercarti, stare con la gente dove sta la gente, testimoniare in mezzo alla gente la condivisione e la determinazione del Vangelo, essere prete o monaco o suora o frate da marciapiede per-ché quello è il luogo dove oggi si manifesta la vera povertà. Quando i fedeli, ma anche i non credenti, vengono in chiesa non indossano il loro autentico abito di sofferenza perché il ritegno e la dignità, che hanno nel cuore, impediscono la trasparenza di que-sto stato d’animo. E allora è il prete che deve andare nel luogo in cui si consuma senza veli il dramma
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Allora: prima prego e medito, poi esco e agisco se-condo la Parola, in povertà semplice e lieta.
Ci spiegassero questo i professori della Bocconi.
[Giorgio Floridi]